Cosa ho imparato da Holly e Benji - di Tim Small

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  1. Jourdain
     
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    Le storie inventate – Cosa ho imparato da Holly e Benji, Due fuoriclasse
    di Tim Small


    Dato che Le storie inventate parla di storie non vere (inventate, appunto) ho pensato di approcciare questa seconda puntata andando a parare direttamente su una delle rappresentazioni calcistiche più false della storia delle rappresentazioni calcistiche: il tanto-folle-quanto-popolare cartone animato giapponese noto come Holly e Benji, Due fuoriclasse.

    Capolavoro senza tempo per un paio di generazioni di giovani italiani, argomento sempreverde per due risate nelle chiacchiere da bar, e limpido esempio della a) totale e completa follia che giace latente all’interno di ogni cervello giapponese e b) totale e completa incomprensione di gusto tra i ragazzi (che lo amano) e le ragazze (che lo odiano tanto da preferirgli l’emo-core Mila e Shiro, Due cuori nella pallavolo), l’immaginario di Holly e Benji ha condizionato la mente di ogni ragazzo italiano nato tra il ‘78 e l’88 tanto quanto Scerbanenco l’ha fatto con la mente di ogni ragazzone nato tra il ‘48 e il ‘58. In che senso? Nel senso che si sono entrambi avviluppati come piovre alla parte del nostro cervello che regola le memorie piacevoli. E ci ha insegnato tutta una serie di lezioni subliminali che, per quanto assurde, hanno un che di vero.
    Se ti alleni sodo migliori

    Forse il valore più solido insegnatomi da H&B è quel senso di nobiltà d’animo e di etica iper-protestante al lavoro che sta alla base di parecchi cartoni animati del Sol Levante. Come ha fatto Oliver Hutton a diventare un campione? Semplice: portandosi un pallone OVUNQUE e palleggiando COSTANTEMENTE dalla mattina alla sera. Ricordo ancora quando, da novenne, pensai per la prima volta che se solo fossi andato a dormire con un pallone da calcio e avessi palleggiato fino a scuola tutti i giorni sarei riuscito a diventare un fenomeno che quando tira la palla si piega indietro su una gamba a novanta gradi, tirandone una su verticalmente dietro di sè come un Ricky Martin qualsiasi, e quando la impatta lo fa con tale forza che la palla si piega attorno al collo del suo piede e diventa ovale. E poi, se pure quella ciofecha mostruosa di Bruce Harper è riuscito a diventare forte verso il terzo campionato, potevo diventarlo anch’io. Quindi ho iniziato ad allenarmi regolarmente e dopo un po’ mi hanno preso come ala sinistra in una squadra di pulcini che è finita quart’ultima a Milano, ma poi dopo un po’ ho scoperto che non ero poi così forte e che non avrei mai giocato nel Milan. Quindi, in un ragionamento che ancora oggi se ci penso mi viene da prendermi a pugni da solo, abbandonai il pallone e presi in mano le bacchette di una batteria. Non me ne capacito proprio. Posso solo concludere che se Andrea, batterista pugliese di ventisette anni, non si fosse trasferito nell’appartamento sopra a quello dei miei in Piazzale Accursio, oggi forse sarei un ala sinistra nel Frosinone e guadagnerei il centuplo della miseria che guadagno oggi.

    È sempre meglio fare le cose in due aka Le ragazze si ricordano solo le cose acrobatiche

    Ah, i Gemelli Derrick. I due attaccanti della Hotdog (qui fra l’altro urge aprire una parentesi riguardo i nomi delle squadre di H&B scelti dai doppiatori italiani, i quali si meriterebbero un approfondimento tutto loro. Newppy? Muppet? Hotdog? Mambo? Norkfolk, quelli con il portiere cicciogigante Teo Sellers, con la kappa?) sono responsabili di forse l’unica cosa di Holly & Benji, Due fuoriclasse che anche le ragazze si ricordano: la catapulta infernale. Francamente, non c’è niente da dire. La catapulta infernale era una figata pazzesca. Una volta ho provato a farla con un mio amico. Gli ho squarciato lo stinco. Fine del pezzo.

    Non importa quanto sei forte, importa quanto poco ti infortuni

    Quello qui a fianco è Julian Ross, senza dubbio il mio personaggio preferito di H&B. Come scrive il sussidiario online di H&B, Julian Ross, capitano della Mambo FC, è “tecnicamente il più forte talento del Giappone, è un grande leader e segna goal importanti”, ma “è affetto da una brutta malattia al cuore che gli impedisce di giocare molte partite”. E chi si scorda quei svariati momenti quando Julian stava per vincere la partita ma poi l’immagine si fermava bruscamente, e tutt’a un tratto tutto diventava bianco e nero, a parte una righetta rossa che andava dritta sul cuore del saggio e compassionevole Julian, e la musica diventava un violino straziante sopra il rumore di un battito cardiaco irregolare, dopodiché l’immagine tornava e colori e riprendeva, ma Julian si accasciava a terra e non poteva continuare la partita? E quante volte la Muppet ha segnato contro la Mambo solo perché Julian era in panchina, a cercare di dare confidenza e sicurezza ai suoi compagni di squadra, smarriti come degli agnelli nelle grinfie del perfido Mark Landers? Onestamente, penso di aver iniziato a mangiarmi le unghie per colpa di Julian Ross. È colpa sua se ho colto tutto il discorso esistenzialista sulla morte e sulla caducità della vita umana a nove anni. In pratica, Julian Ross mi ha insegnato che a volte succedono delle cose terribili alle persone buone, per nessuna ragione. Così. Perché Dio è morto.
    Se vi sembra che stia esagerando, considerate che stiamo parlando di un bambino milanista nel 1991: con una semplice sostituzione malattia cardiaca / caviglia di cristallo, è ovvio che il mio amore sconfinato per Julian Ross era un semplice transfer di quello che provavo per Marco Van Basten. E come sanno tutti, se non fosse stato per quella caviglia, Marco sarebbe stato il più grande di tutti i tempi. E invece aveva la caviglia problematica. E quindi noi, al posto dell’eleganza e la classe del Cigno di Utrecht, ci dobbiamo accontentare di un tamarro argentino con l’orecchino. Il che mi porta al prossimo pezzo.

    I tamarri cha fanno brutto alla gente spesso hanno il cuore d’oro

    Vincitore del premio “uomo più abbronzato di tutto il Giappone” nonché “più giovane calciatore Giapponese costretto a mantenere la sua famiglia con il calcio”, Mark Landers era il re dei tamarri. Mentre Holly sorrideva sempre ed era pieno di bontà e parole dolci per i suoi compagni scarsi, e Julian Ross era la personificazione della virtù, Mark non sorrideva mai, si arrotolava le maniche della maglia fin sopra le spalle anche sotto la neve, faceva brutto a tutti, aveva un padre alcolizzato e una sorellina malata (aww), spaccava le gambe della gente solo per il gusto del LOL, e si allenava su una spiaggia, sotto la pioggia, tirando il pallone contro le onde e modificando un maremoto solo con la forza del collo del suo piede. Insomma: Mark Landers era un figo. Però, sotto sotto, era buono. Nella famosa puntata Mark Landers vs. Julian Ross, la prima volta che Ross si accascia a terra premendo le mani sul suo cuoricino debole, Landers butta fuori la palla per permettere i soccorsi a Julian, andando contro i voleri del suo allenatore bastardo. Era un po’ il Phoenix al Pegasus di Holly, il figlio di puttana che, verso la terza stagione, inizia a collaborare a malincuore con i “buoni”. Altra cosa figa di Landers era la sua squadra: aveva la maglia viola e si chiamava, per qualche ragione, Muppet. Nella Muppet giocavano sia tale Danny Mellow (che era un po’ omosessuale) e anche il grandissimo Ed Warner, il portiere zen di cui non abbiamo mai visto il viso che stava seduto con un filo d’erba in bocca e poi si lanciava contro i pali e le traverse rimbalzando come un ninja e parava tutto.
    Quindi potrei concludere questo pezzo dicendo che quello che ho imparato da Mark Landers è che in fondo in fondo anche i tamarri che menano la gente vogliono solo essere amati e che Balotelli e Cassano non sono cattivi. E anche che, se tiri il pallone con abbastanza forza, puoi creare un piccolo cratere in un muro di cemento. O disintegrare i guanti di un portiere.

    Gli italiani negli anni ‘80 erano famosi solo grazie a Zoff

    Almeno, in Giappone è così. Quello qui sopra è Dario Belli, portiere della nazionale italiana che viene eliminata dal Giappone ai mondiali. Mentre le altre squadre al mondiale vinto dal Giappone di Holly, Benji e Mark Landers avevano tutti l’attaccante forte (la Germania aveva il teutonico Karl Heinz Schneider, il Brasile aveva “il Pelé bianco”, Francisco Santana, l’Argentina aveva Jorge Ramirez, e la Francia aveva sia Pierre Leblanc che il meravigliosamente nominato Louis Napoleon), l’Italia aveva il portiere che le parava tutte. Dario Belli. Ovviamente Dario Belli prende due pappine da Holly, però va be’. È il suo programma: Non si chiamava mica Dario & Benji, Due portieri.
    Altra prova del fatto che in Giappone il calciatore italiano per eccellenza è il portiere (e ulteriore avvicinamento di questo post verso il pianeta degli ubernerd): nel videogioco International Superstar Soccer della Konami—il papà di PES—il giocatore più forte dell’Italia era il portiere. Si chiamava “Dino Zoffini”.

    Qui allo Stone Island Football Blog ascoltiamo attentamente i nostri lettori, ed è proprio grazie ad uno di loro se ho avuto la fortuna di scoprire che Holly e Benji è stato trasmesso pure in Palestina, con il titolo di Capitan Majid, cosa che ho immediatamente riciclato come mia scoperta per vantarmi al bar. Ed è proprio per via dei commenti dei lettori a fondo pezzo che mi sono accorto che nella mia prima (per quanto scientificamente scrupolosa) analisi avevo trascurato un paio di elementi, oltre ad averne addirittura toppato qualcuno—e qui colgo l’occasione per cospargermi il capo di cenere e ammettere che, obbiettivamente, Julian Ross era più Cruijff che Van Basten.
    Ma, questa volta, prima di tuffarmi in un’altro elenco di life lessons tratte da Captain Tsubasa, ci tengo a rimarcare che una delle cose che mi è più piaciute nella stesura del primo pezzo è stata l’ennesima conferma che internet ha cambiato il mondo. Sembrerà strano, quando a scriverlo è l’autore di un pezzo su un blog, e non vorrei sembrare il matusa che si sorprende del potere della rete, ma ci sono rimasto effettivamente scioccato. Per dire: oltre al già citato, utilissimo sussidiario online di H&B, e all’opera certosina di Marco Duozzo, Wikipedia offre una pagina intitolata “Personaggi di Holly e Benji” che conta ben 162—centosessantadue—brevi biografie su tutti i calciatori, allenatori, e altri personaggi presenti nella serie. Il che mi fa anche penare per i miei poveri colleghi di qualche decennio fa, che non godevano del rapido accesso a informazioni specifiche per la stesura dei loro pezzi, informazioni come la storia dell’infanzia di Carlos Santana, la superstar della nazionale brasiliana. Vorrei provare a parafrasarla, ma penso che sarebbe meglio riportarvela integralmente, in tutta la sua meraviglia:
    “Sua madre lo abbandonò quando era ancora in fasce. Fu trovato dai custodi di uno stadio che lo adottarono. Quando morirono i suoi genitori adottivi fu adottato dal signor Bala, un essere ignobile, che lo teneva rinchiuso in una cella e gli faceva fare allenamenti estenuanti. I suoi allenatori poi non gli insegnarono il gioco di squadra ma solo il gioco individuale e in breve Carlos diventò un essere privo dei sentimenti, un cyborg del calcio. Quando Carlos trascinò la nazionale juniores brasiliana alla vittoria del mondiale giovanile svelò durante una conferenza stampa i maltrattamenti subiti e i tifosi circondarono la casa del signor Bala per costringerlo a liberarlo.”
    Ho anche scoperto dell’esistenza di tale Natureza, centrocampista verdeoro che è “cresciuto in un villaggio nella giungla del Rio delle Amazzoni, dove ha imparato a giocare a calcio con la natura”. Insomma, roba che dà del gran filo da torcere a Maurizio Milani.
    Ed è sempre grazie a Wikipedia che ho avuto una risposta a una domanda che mi ero posto tempo fa. Che è: Sì, anche i calciatori professionisti amavano H&B. Pare infatti che Del Piero, Zidane, Sculli e Nakata abbiano tutti ufficialmente dichiarato che è in gran parte grazie alla ripetuta visione di tiri incrociati, catapulte infernali e tiri dell’aquila se sono poi diventati dei calciatori professionisti. Certo, nel caso di Del Piero e Sculli, parlavano di Holly, Zidane probabilmente parlava di Capitan Majid (o forse del francese Olive et Tom), e Nakata di Captain Tsubasa, ma sempre dello stesso, assurdo cartone animato si tratta. E non nego che mi piace pensare che campioni del loro calibro avevano almeno qualcosa in comune con un bambino di nove anni cresciuto a Milano Nord (cioè io). Ed è proprio dalla gioventù che vorrei cominciare il prossimo paragrafo.

    Non tutti i potenziali baby campioni mantengono le promesse

    E questo, anche se sembra ovvio a me ora, è quello che ho imparato dalla storia di Danny Mellow. Danny era più giovane dei già giovanissimi protagonisti di H&B, ed era, parole di Mark Landers, “il giocatore col miglior controllo di palla di tutto il Giappone”. Sebbene lo avessi definito come un mezzo-omosessuale nel primo post (stavo solo cercando di ironizzare sullo stretto rapporto tra lui e Landers), Mellow era effettivamente fenomenale, e gran parte dei gol dell’uomo più abbronzato di tutto il Giappone partivano da assist di Mellow. Era un po’ il Pirlo del primo Milan ancelottiano. Fisico, tenace, con un ottimo controllo di palla e una grandissima visione di gioco. Pirlo prima che diventasse la ballerina più lenta del mondo, insomma. Quando Landers lascia la Muppet per la Toho, si porta dietro proprio Danny che, nel terzo campionato, con l’assenza di Landers, riesce comunque a portare la Toho molto avanti, forse fino in finale. Non ricordo.
    Però—e questo è il grande però—Mellow non è mai riuscito a diventare titolare fisso in nazionale. Sebbene le sue potenzialità, in gioventù, lasciavano intravedere doti degne di un vero fuoriclasse, Mellow non è mai riuscito veramente a sfondare quell’ultimo muro e consacrarsi campione assoluto. Ve lo ricordate Giovani Dos Santos? Uguaglio. È una delle storie più comuni nel calcio moderno, pieno di “questo è un ‘92, vedrai che fenomeno che diventa”, che poi si scontrano con una serie A piena di 34enni che fanno i modelli per marchi di abbigliamento. A proposito, se vi siete mai chiesti per chi sono fatte quelle pubblicità con i calciatori in mutande, la risposta è da leggere tra le righe del prossimo paragrafo.

    Le tifose di calcio sono tutte lesbicheggianti, ma quasi mai lesbiche-lesbiche

    I personaggi femminili nell’universo di Holly & Benji erano generalmente divisibili in tre categorie: le femmine di famiglia (madri e sorelle), le fidanzate, e una terza categoria composta esclusivamente dall’unica capocurva ultras donna che il mondo del calcio ricordi: Patricia Gatsby, detta Patty. Le madri (penso a mamma Hutton, Maggie) e le sorelle (penso alla sorellina di Mark Landers), erano abbastanza defilate, e davano il loro supporto ai calciatori solo fino a un certo punto. Ovviamente, Holly voleva diventare un campione per rendere fieri i suoi genitori, e ogni volta che riceveva una lettera dal padre, il capitano di navi mercantili Michael Hutton, la cosa lo spingeva a dare il massimo in campo. E anche Landers voleva diventare una stella per ottenere una borsa di studio per mantenere la famiglia e aiutare la sorella. Però, fondamentalmente, erano entrambi spinti dal desiderio di diventare dei campioni. Soprattutto Holly, che non vedeva l’ora di raggiungere Sedinho in Brasile. Questo mentre, molto probabilmente, Sedinho si era fatto una tresca con mamma Maggie. Pensaci: erano sempre al campo assieme, e il padre non c’era mai. Ma sto divagando.

    Per quanto riguarda le fidanzate, si meriterebbero un pezzo tutto per loro, dalla devota di Julian Ross che pregava per il suo debole cuoricino, alla fidanzata di Callaghan che gli aveva confezionato la inseparabile fascia. Ma qui non c’è spazio. Spero che possa essere uno spunto nella sezione commenti a fine pagina.
    Rimane Patty. Patty ha subito una forte evoluzione nell’arco narrativo di H&B. All’inizio era una bulletta maschiaccia e violenta (crypto-lesbica, per citare il commento di Sara all’ultimo post) che era un po’ innamorata di Holly ma che non l’avrebbe MAI ammesso. Il tipo di ragazza che si considerava “una dei boys”, al punto da vestirsi con l’uniforme scolastica maschile. E sebbene un osservatore poco attento potrebbe chiaramente definirla una closet-lesbica, Patty in realtà rappresenta con sconcertante accuratezza il prototipo di tifosa femminile. Quella che beve la birra e guarda la partita con i tuoi amici e che è a suo agio con i maschi, ma che, alla fine della fiera, non è gay. Generalmente parlando sono sorelle minori cresciute in famiglie con tanti fratelli maschi. E infatti, alla fine della serie, Patty si sposa con l’amato Holly, ma non prima di, come ci fa notare il buon Duozzo, averlo difeso da tutto e tutti, lavato la maglia, preparato i panini ogni giorno, medicato le ferite, e seguito in trasferta per anni e anni e anni e anni e anni e anni. E anche, fondamentalmente, dopo aver buttato l’uniforme maschile ed aver abbracciato il suo lato più femminile. Perché c’è un limite a tutto.

    Il gioco di squadra è importante, ma senza i fuoriclasse alla fine non vinci aka Il calciatore eroe

    Parlando di limiti, uno dei grandi limiti del calcio e della vita che i saggi creatori di H&B hanno voluto impartirmi da piccolo è il seguente: anche se la tua squadra gioca il miglior gioco di squadra di tutto il Giappone, se non hai il campione che rompe il meccanismo con un tiro dell’aquila o una rovesciata infuocata, non vinci il campionato. Che detta così sembra una cazzata, ma è vero. E ovviamente, sto pensando al grande Philip Callaghan, umile capitano della Flynet, chiaramente un esempio di virtuoso calcio totale, che però non riesce a battere Muppet e Newppy per la mancanza del grande fuoriclasse che si inventa la giocata, quello alla Hutton / Landers.
    Callaghan era anche un esempio lampante (assieme ad altri personaggi complessi, come Julian Ross e Roberto Sedinho) della visione dei creatori di H&B (ed ergo poi anche di quella di milioni di ragazzi nel mondo) del calciatore come eroe. Il fiero e umile Callaghan, per sua stessa ammissione, non era tecnicamente forte quanto i migliori, e quindi cosa fa? Chiaro: va ad allenarsi tutti i giorni fino a tarda notte, sotto la neve, per migliorarsi. E fa giocare la sua squadra con più gioco di squadra e meno individualismo. Insomma: un eroe. Umile, costante, onesto, forte, conscio dei suoi limiti, fiero. Anche Ross aveva un che di eroico, per non parlare di Sedinho, che è arrivato al punto da volersi suicidare quando una malattia alla vista gli ha reso impossibile il proseguimento della carriera professionistica. Anzi, è proprio quando il padre di Hutton salva Sedinho dal suo tentato suicidio al porto che Sedinho decide di sdebitarsi con lui, allenando suo figlio gratis. Cosa che non ha molto senso. Ma poco ha senso nell’arte. A proposito di arte:

    Il calcio è meglio dell’arte

    Questa massima di vita la applico ogni qualvolta sono indeciso tra il recarmi ad un’apertura di una mostra di arte contemporanea o il tornare di corsa a casa dopo il lavoro per vedere una bella partita di Champions League.
    L’ho imparata anni fa, quando uno dei miei calciatori preferiti, l’adorabile e talentuosissimo Tom Becker, ha dovuto lasciare la Newppy, e quindi il mio teleschermo, per seguire il padre pittore in giro per Francia e Italia. Padre, tra l’altro, squattrinato, dato che Becker si manteneva—e qui ascoltatemi bene—facendo spettacoli di palleggio per strada. Ergo: abbasso l’arte, viva il calcio.

    Il clutch factor esiste in tutti gli sport aka Non perdere la testa cretino

    Questa è un appunto tecnico che ho veramente, onestamente imparato guardando Holly e Benji, e che mi disturba notevolmente. Mi spiego: oltre ad essere appassionato di calcio, sono anche appassionato di NBA. È puro spettacolo ed è divertentissima. Ora, nell’NBA esiste un concetto che nel calcio, almeno qui da noi, non si usa. La parola che usano in America è clutch. Il clutch, letteralmente, è la marcia, quella delle automobili. Applicata all’NBA, l’offensive clutch è la capacità di un giocatore di attaccare bene e fare tanti canestri a fine partita, negli ultimi minuti del quarto quarto, quando i punti contano molto. La defensive clutch è la stessa cosa, ma al contrario. Ad esempio, è la capacità di stoppare l’ultimo tiro della gara. Insomma, il clutch è la capacità di esserci quando conta, di non cagarsi addosso nei momenti difficili, e di dare il meglio di sé quando la situazione è tesa e la pressione è tanta. L’uomo più agile del mondo, Kobe Bryant, ha un clutch come pochi nella storia del basket, ed è anche per questo che è uno dei più grandi di sempre.
    Ora, Holly & Benji mi ha insegnato questa cosa, in maniera basilare. E quindi so che esiste anche nel calcio—basti vedere Ibrahimovic che non segna mai in nazionale e nelle partite importanti, e l’esempio contrario, cioè quel Seedorf che segna solo nei momenti in cui può far vincere una partita all’ultimo minuto, o in Champions, o nei derby. Per qualche ragione, io l’ho imparato con la storia di Teo Sellers, il gigante portiere della Norkfolk, che sembra calmo e pacato per tutta la gara, ma poi perde violentemente le staffe quando Holly gli insacca alle sue spalle il pallone dell’1-1, permettendo che la Newppy ne segni altri 4 e facendosi espellere, tutto in pochi minuti. Teo Sellers aveva un pessimo clutch, mentre il clutch di Holly era eccezionale. Anzi, è probabilmente il calciatore che nella storia del calcio—inventato e non—è riuscito a segnare più gol decisivi all’ultimo minuto della storia dell’intero universo. Praticamente, la Newppy ha vinto il 95% delle sue partite all’ultimo minuto. Cosa che Sconcerti -o un tempo Tosatti – metterebbe così: “Se si eliminasse la Zona Cesarini, la Newppy avrebbe ben 49 punti in meno a fine stagione. Non sto accusando, sto solo presentando dei numeri. I numeri non mentono. Inoltre, se non si giocasse mai il sabato, la Roma avrebbe vinto due partite in meno, mentre il Palermo non ne avrebbe perse ben sette. Come giudicare questi dati, che sono fatti?” Roba che mi interessa meno persino di quando la gente mi racconta i propri sogni. Colgo quindi l’occasione per chiedere ai nostri giornalisti sportivi di utilizzare più termini tratti dall’NBA, come il clutch e l’espressione “He’s on fire!” quando un giocatore “è in giornata”. Propongo “È infiammato!”. Sono termini e concetti sportivi universalmente validi e sarei contento di sentire parlare più spesso di queste cose. Meno statistiche, più termini cestistici. Grazie.

    Il tempo e lo spazio sono relativi

    L’ultimo punto è semplice e universale. La lunghezza di una partita di calcio nell’universo di Holly e Benji (a volte più di venti puntate di mezz’ora), e la lunghezza fisica dei suoi campi da calcio (talmente lunghi da risentire della curvatura del pianeta Terra) sono una prova lampante che Einstein ha ragione e che, per inferenza, facciamo tutti parte della stessa coscienza; l’Io interiore è una superstruttura costruita dal nostro cervello per impedirci di apprendere ogni cosa allo stesso tempo, e il tempo e lo spazio esistono solo nella nostra percezione. Ma quest’ultima lezioncina, a dire il vero, non l’ho imparata da Holly e Benj, sto scherzando. L’ho imparata dopo essermi calato il primo acido.
     
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  2. diego08
     
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    ahahaha che ricordi;ricordo perfettamente tutti i giocatori,tutte le squadre!da bambino se non finiva la puntata alle 16,30 non scendevo in cortile per andare a giocare e il bello è che avrò visto l'intera serie per 4-5 volte,peggio dei cavalieri dello zodiaco!
     
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  3. shaka81
     
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    Io l'ho sempre visto ma non l'ho mai amato...Holly era troppo sgravato rispetto agli altri, buono, forte e fortunato...molto meglio Lenders...per non parlare poi della panzana del Giappone campione del mondo con giocatori palesemente non Giapponesi...mah...diciamo che l'animazione giapponese in Italia è arrivata con Holly e Benji e li s'è fermata...
     
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  4. G-Mellow
     
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    un'intera puntata dedicata per arrivare da una porta all'altra, visto che i campi erano situati su una collina e mentre uno sta per tirare in porta dopo essersi fatto circa 7-8 km di corsa, arriva li, carica il tiro facendo arrivare la gamba dietro la nuca e....alla prossima puntata..quanti ricordi ..ma pensandoci bene che stronzata che era..i palloni che bucavano i muri , quelli che saltavano sulle traverse ecc ecc
     
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  5. kosè
     
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    La catapulta infernale ahahahahah
     
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  6. mirko vucinic
     
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    becker e callaghan in assoluto i migliori.
    io ho anche la maglia di callaghan della flynet.
     
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5 replies since 18/5/2010, 08:54   853 views
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